MESSA ESEQUIALE DI S.E. MONS. GIOVAN BATTISTA PICHIERRI
Arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie
Cattedrale di Trani, 28 luglio 2017

 

Venerati fratelli nell’episcopato, nel presbiterato e nel diaconato, Distinte Autorità, Carissimi fratelli e sorelle amati dal Signore.

“Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato” (Gv 17, 24).

Questo tratto della preghiera sacerdotale di Gesù, sgorgata dal suo cuore nel momento culminante di un amore che ha amato sino alla fine e si è donato totalmente sino all’olocausto supremo della vita, rivela non semplicemente un desiderio, ma l’ansia struggente e la volontà risoluta del Maestro, perché i suoi Apostoli, dono privilegiato del Padre, fossero sempre con lui nel tempo e nell’eternità.
Quel “voglio”, supplicante e imperioso insieme, col quale nell’imminenza della morte Gesù si rivolge al Padre, è l’espressione di un mistero insondabile che avvolge la vita di ogni cristiano, ma afferra soprattutto l’esistenza di coloro i quali, a somiglianza degli Apostoli, sono chiamati alla sua sequela più diretta e totale.
Essere con lui per contemplare la sua gloria!
È qui l’origine di ogni vocazione cristiana, ma soprattutto di quella sacerdotale ed episcopale. È anche qui la sua ultima destinazione e la ragione più profonda che ne chiarisce il senso e ne stimola il dinamismo apostolico.
In questa luce la parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita a leggere la repentina morte dell’angelo di questa santa Chiesa di Trani-Barletta-Bisceglie, S.E.R. Mons. Giovan Battista Pichierri, che il Pastore dei Pastori ha chiamato definitivamente a sé perché contempli per sempre la sua gloria nella visione faccia a faccia del volto del Padre, che ha glorificato qui in terra servendo il suo popolo.
In questa luce mi è apparsa, da quando l’ho conosciuto, la sua figura di sacerdote e di Vescovo e la sua missione di Pastore.
Una missione, da lui considerata un servizio di amore a Cristo e alla sua Chiesa.
All’amatissima Chiesa anzitutto di Oria che 74 anni fa a Sava lo ha rigenerato alla vita cristiana, 50 anni fa lo ha ordinato Sacerdote attraverso l’imposizione delle mani di Mons. Alberico Semeraro e 26 anni fa anche Vescovo attraverso quelle di Mons. Armando Franco.
Donato come Vescovo alla Chiesa di Cerignola - Ascoli Satriano per quasi nove anni, e a questa Chiesa come Arcivescovo per ben 18 anni, le ha servite con amore, donandosi totalmente con la carità del Buon Pastore ricevuta in pienezza dallo Spirito Santo con l’Ordinazione.
Mi aveva invitato qualche mese fa a partecipare al rendimento di grazie al Signore per il Giubileo d’Oro del suo Sacerdozio. E ho accettato con gioia in segno di affetto, di stima e di riconoscenza, pensando alle meraviglie di grazia operate dal Signore in lui e per mezzo di lui nei cinquanta anni di servizio pastorale.
Ma il Signore lo ha chiamato a sé per celebrare nella Liturgia celeste il Giubileo, a coronamento di un servizio di amore suggellato dalla Pasqua eterna nella Casa del Padre.
Sì! Un grande servizio di amore per cinquanta anni Mons. Pichierri ha offerto a Cristo e alla Chiesa.
È stato ordinato sacerdote il 30 agosto 1967 dal mio venerato predecessore oritano Mons. Alberico Semeraro, il quale conoscendolo e apprezzandolo fin dagli anni di Seminario per l’impegno nello studio e soprattutto per la formazione spirituale, lo ha nominato subito Direttore Spirituale del Seminario diocesano.
Successivamente dai Vescovi Pugliesi, e stato scelto come animatore prima e come prorettore poi del Pontificio Seminario Liceale regionale di Taranto: negli anni difficili e burrascosi del post ’68 egli sebbene giovanissimo ha saputo affrontarli con la soavità e la fermezza di ogni saggio educatore.
Tornato in Diocesi, l’ho avuto diretto, affezionato, fedele collaboratore del mio ministero episcopale in Oria, come segretario e Delegato ad omnia. È stato per me come un angelo custode, mi accompagnava ovunque con discrezione e con premura, dandomi un grande aiuto col fascino della sua testimonianza sacerdotale, con la saggezza dei suoi consigli e una non comune capacità di discernimento nelle soluzioni da prendere, con la serenità che sgorgava spontanea dalla preghiera, con la fedeltà che scaturiva dalla consapevolezza e dalla contemplazione del mistero sacerdotale, nel quale credeva appassionatamente e dal quale traeva le ragioni più profonde dell’obbedienza ai superiori e dell’affetto ai confratelli nello spirito della comunione presbiterale della quale era testimone esemplare e costruttore intelligente, paziente e indomabile.
Trasferito da Oria a Foggia, non l’ho mai dimenticato, lieto dei nuovi e più impegnativi compiti che dal mio Successore gli venivano affidati, da Arciprete di Manduria a Vicario Generale.
E soprattutto sono grato al Signore per averlo scelto come Vescovo a servire la sua Chiesa, prima a Cerignola - Ascoli Satriano e successivamente in questa, a me cara perché a Barletta il 5 ottobre 1952 ho ricevuto da Mons. Addazi il Diaconato.
Da sacerdote e da Vescovo Mons. Pichierri è stato un pastore secondo il cuore di Dio testimoniandone la paternità, la pazienza, la mitezza, la tenerezza, la benevolenza, la dolcezza nei rapporti con i sacerdoti, i diaconi, i ministri istituiti, i fedeli laici, le istituzioni civili, culturali, politiche e sociali: una testimonianza ampiamente riconosciuta e apprezzata.
È stato una icona sacramentale credibile del buon Pastore nel suo triplice e indissociabile ministero di Maestro, di Santificatore e di Guida del suo popolo.
Il suo amore alla Chiesa era l’attestazione sponsale più significativa e sincera, rivelatrice non solo del suo stile pastorale nel servirla, ma anche, e direi prima ancora, della sua spiritualità sacerdotale, anima del ministero apostolico, come servizio di amore a Cristo e alla Chiesa.
Non sto a rievocare quanto il buon Pastore gli ha concesso di operare con la grazia del suo Spirito in 24 anni come sacerdote e in 26 come vescovo.
Papa Francesco nella Lettera gratulatoria in occasione del 25° di Episcopato lo ha sintetizzato autorevolmente con questo elogio: ”Nel reggere questa Chiesa ti sei adoperato per adempiere ai doveri episcopali dedicando le tue energie attraverso l’opera di evangelizzazione, alla edificazione della Chiesa, che è singolare maestra di verità, salvezza, amore e pace, nonché luce, sale e fermento del mondo. È da ricordare il primo Sinodo diocesano dal quale molti frutti arriveranno”.
E al Sinodo Diocesano ha fatto riferimento lo stesso Arcivescovo nell’omelia della Messa Giubilare.
Nel motto programmatico “Per una Chiesa mistero di comunione e di missione” ha come riassunto tutto il poderoso lavoro pastorale già fatto in ogni campo della missione: dalla Parola ai Sacramenti, dalla carità operosa verso gli ultimi alla viva attenzione ai problemi del territorio facendosi voce del popolo, dal dialogo ecumenico a quello interreligioso.
Contestualmente ha indicato con lungimiranza e fiducia il lavoro da fare, per l’incessante costruzione di una Chiesa, che sia veramente “Popolo di Dio nella compagnia degli uomini, Grembo di profezia per un mondo nuovo, Sposa che celebra il suo Signore, Comunità di amore a servizio degli uomini”.
Ma un particolare mi ha soprattutto colpito: l’avere indicato nella tensione alla santità la prospettiva fondamentale di tutta la costruzione di una chiesa in comunione per la missione. “Additare la santità – diceva – resta più che mai un’urgenza pastorale. A nulla valgono tutte le strutture ecclesiastiche, se non c’è impegno alla santità”.
L’anelito alla santità Mons. Pichierri lo ha avvertito personalmente fin da giovane sacerdote: posso attestarlo per averlo percepito durante le molteplici riflessioni che scambiavamo frequentemente, viaggiando e pregando insieme nelle visite alle parrocchie.
Sono certo che questo anelito è andato crescendo negli anni, soprattutto nel ministero episcopale, e qui è anche il segreto della efflorescenza vocazionale al sacerdozio ministeriale, che ha caratterizzato e impreziosito il suo episcopato e l’Arcidiocesi.
Una toccante riprova di questo anelito alla santità per tutti è l’ultima sua lettera pastorale che egli aveva preparato per il suo Giubileo Sacerdotale e sarà distribuita alla fine della celebrazione: “Cinquant’anni di servizio di amore alla Chiesa come educatore, parroco, vescovo”.
Ha scritto che non si tratta di “un testamento”, ma di “una calda esortazione a permanere nell’amore di Dio, proprio come ci chiede il nostro maestro Gesù: Rimanete nel mio amore”.
Questa sera, tuttavia, dopo la sua morte quella lettera giunge a tutti come il più stimolante testamento di amore, da accogliere e vivere come la più sincera risposta dell’amore.
È l’invito a restare vitalmente uniti a Gesù come i tralci al ceppo della vite per portare i frutti della salvezza nostra e altrui.
“Coltivate l’unione intima con Cristo, con il Padre e lo Spirito Santo, nella preghiera personale, nella divina liturgia, nell’esercizio di ogni virtù, la cui sintesi è la carità, nel dono di sé secondo il proprio stato di vita e i carismi particolari, che ci sono stati donati per l’unità del corpo mistico di Gesù Cristo, vivendo nella comunione e nella missione”.
Sale pertanto spontaneo dal cuore il ritornello che abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale: ”Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei giusti”.
Ha tanto lavorato, gioito e anche sofferto, Mons. Pichierri nella sua vita e nel suo ministero pastorale.
La sua morte improvvisa ci ha lasciati tutti, ma particolarmente i suoi familiari che saluto cordialmente, nel dolore, ma ci consola la certezza della fede, ricordataci da San Paolo nella seconda lettura che risentiremo fra poco nel prefazio: ”Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata, e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”.
Il nostro Arcivescovo ha professato e insegnato tante volte questa certezza di fede, ma ora la ripete dal silenzio, il più eloquente, della morte, mentre, come ci ha assicurato l’Autore del Libro della Sapienza, ora è nelle mani di Dio.
Nell’ottica del mistero pasquale che stiamo celebrando, anche la sua morte va considerata come l’ultimo dono del suo servizio pastorale, potremmo dire il più bel dono: tanto è ricco di significati, di stimoli, di messaggi, nel nostro cammino verso il banchetto eterno della gloria futura, che nella celebrazione eucaristica è manifestato, preannunziato e, in certo qual modo, anticipato.
Ringraziamo Te, o Signore, per avercelo dato e ringraziamo anche Te, Giovan Battista, per quanto ci hai dato. Grazie, fratello carissimo, non Ti dimenticheremo nella morte e arrivederci in Paradiso.

Card. Salvatore De Giorgi
Arcivescovo emerito di Palermo